Pier Gavino Sedda – Gavoi
– Intervento fatto al Convegno Dibattito “A Maimone” Carnevale: Tradizione e Cambiamenti” Samugheo, 17 febbraio 2019.
Alla fine del 1833 usciva a Torino il 1° volume del Dizionario geografico-storico-statistico-commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna compilato dal sa- cerdote Goffredo Casalis (Saluzzo 1781-Torino 1856).
Il dizionario del Casalis è una fonte importante che ci permette di avere notizie sulla tradizione del carnevale in molti paesi della Sardegna. (Venne pubblicato a Torino tra il 1833 e il 1856)
Almeno un terzo della stesura del dizionario è da attribuire al Padre Scolopio Vittorio Angius, nato a Cagliari il 18 giugno 1797 – morto a Torino il 19 marzo 1862, solo e ridotto all’indigenza, socio del Collegio Filosofico e Prefetto delle scuole Pie di Sassari, incaricato nel 1830 dal Casalis a collaborare per la stesura del dizionario. Segnalato al Casalis dal Baylle, per la compilazione del dizionario; nel 1837 divenne bibliotecario dell’Università di Cagliari. Viaggiò moltissimo, per raccogliere il materiale necessario, percorrendo l’isola con ogni mezzo. Nel 1849 fu eletto deputato.
La rilevazione dei dati statistici, come già avveniva per gli Stati di terraferma, avvenne in primo luogo attraverso la spedizione agli uffici periferici dell’amministrazione statale, ai sindaci e ad alcuni eruditi, di una sequenza di punti formulati attraverso 30 quesiti sulla cui base dovevano essere compilate le schede relative ai singoli paesi, città o regioni storico-geografiche, le cui risposte dovevano poi essere restituite a Sassari al sacerdote Vittorio Angius che firmava in qualità di «incaricato della compilazione della corografia della Sardegna».
Nel 1833 Angius decise di redigere direttamente le voci stesse. Poiché l’esito della prima richiesta di dati non dovette essere lusinghiero, l’Angius spedì una nuova richiesta di dati ai sindaci, resa in forma più discorsiva e suddivisi in capitoletti stampati in forma più semplice.
Tra questi quesiti vi è: “Quali divertimenti in carnevale?” ;
Ho ricercato nel Dizionario le voci attinenti al carnevale: carnevale, carnovale, maschera, mascherate, divertimenti etc.
Angius, alla voce Sassari, cosi descrive il Carnevale:
“Carnevale. Cominciasi il giorno dell’Epifania, e vedonsi nello stesso giorno alcuni mascherati che si sollazzano girando per la città a dir facezie.”
“Il giovedi grasso è una giornata rumorosissima, perché dal primo mattino sentesi il suono di centinaja di tamburi, e lo schiamazzo d’un gran numero di mascherati, i quali nella sera crescono ad un numero sorprendente. Molti vanno a cavallo con la donna pur mascherata sulle groppe, e si fermano qua e là per ciarlare e motteggiare: e i motteggi talvolta sono ben frizzanti; ma non si fanno le corse, che sono usate in Cagliari e in altri luoghi della Sardegna. Le maschere si riuniscono in diversi punti, principalmente in Pian di Castello, dove si intrecciano danze alla sardesca.
E qui essendo concorso di molte maschere gentili sono prese nella catena anche persone distinte e non mascherate, e si tripudia con grande allegria al suono di diversi istromenti musicali. Fra gli altri suoni notasi lo stridore di un plebeo istromento, usato da giovani del contadiname, e formato con una corda di minugi (budello n.d.r.), distesa in una canna o bastoncino arcuato, che preme una vescica gonfia, e strimpella nel modo più ridicolo. La foggia più comune del mascheramento è il domino (abito da maschera a foggia di mantello con cappuccio), o una sua somiglianza, perché si adoprano gonnelle e fazzoletti di tutti i colori. Si mascherano persone di tutte le classi di età, alcuni altri ancora che non indico per rispetto, ed è un fanatismo nei giorni di festa e molto maggiore negli ultimi. Si vedono maschere tutti i giorni, massime nelle ore che gli studenti escono dalle scuole maggiori, e fanno lunghe ciarle con le loro belle, che devono restare alla finestra e corrispondere.”
Le tradizioni equestri di Sassari sono ricordate anche da Domenico Azuni che nel 1802 descrive le corse a pariglia alle quali aveva assistito soprattutto a Sassari per carnevale.Già si desumonoi primi segni del cambiamento.
Anche Enrico Costa (Sassari, 1841 – 1909) (nel 1885 scrisse il primo volume: Sassari, che continuò nel 1909 e nel 1937 fino agli ultimi volumi delle Edizioni Gallizzi, Sassari 1977) parlando del carnevale scrive: L’uomo ha sempre sentito il bisogno di stordirsi in qualche momento della vita, per obliare in qualche giorno dell’anno i suoi affanni e le sue miserie, e questo stordimento lo ha chiesto sempre al divertimento. …Gobbule di carnevale. – Per usanza tradizionale, fino a pochi anni fa… il giorno in cui principia il carnevale, comitive di uomini, di donne e di fanciulli, correvano in Sassari di casa in casa, per cantare a li tre Re, o canti accompagnati dal tamburello (trimpanu) e dal coro, o semplicemente, per recitare ad alta voce una Gobbula, che la comitiva ripeteva verso per verso, insieme al capo della compagnia. … La gobbula non era che una composizione satirica, l’immancabile satira, antica quanto i sassaresi, ed era la nota dominante del Carnevale…
In Carnevale…Il tamburo fu sempre la nota dominante nelle allegrezze del nostro popolo; esso come accompagnava gli artigiani nelle loro processioni religiose, così li accompagnava nelle mascherate… Il Carnevale chiudevasi in piazza, sull’imbrunire del martedì grasso, con una processione funebre di popolani, i quali con le torce accese, accompagnavano un fantoccio disteso sul feretro, il Re del carnevale, Giorgio, per la morte del quale tutti prorompevano in esclamazioni: Giogli meiu! (Giorgio mio!).
Sempre il Costa ci ricorda che:
“Uno dei divertimenti più comuni in Sardegna era, nel Medioevo, quello di currer sa loriga (correre all’anello)!… E ancora “1556 – Per l’assunzione al trono di Filippo II si fecero a Sassari molte feste e si spesero molti quattrini. La cassa civica pagò 8 soldi ai tamburini per annunziare in precedenza il festino; un testone al sacrista si S. Caterina, per il ripiccu de sa campana pro sas festas; una diecina di lire per la sabbia sparsa sul corso per currer sa loriga; e pi’ 7 lire e 12 soldi a Mastru Andria Mone, prezzo di un bue nero acquistato dalla città per farlo correre aggiogato nella Carra, pro sas festas et allegria, in onore di Don Antonio de Cardona che prendeva possesso in nome di Sua Maestà.”
Una parentesi: Giorgio dal greco gheorghòs vuol dire contadino e gheorghìa vuol dire agricoltura, molte feste di carnevale hanno evidenti connotati di festa agreste. Anche il nome Cancioffali, riferendosi ai carciofi riporta a un ambiente campestre. (Pillai). Una reincarnazione forse dello spirito della vegetazione. E alcuni studiosi notano diverse analogie delle sfilate carnevalesche con la schiera delle anime. Qualcuno si chiede: Le maschere orripilanti di alcuni carnevali sardi non potrebbero essere a loro modo maschere mortuarie?
Tornando all’Angius ci dice che:
A Oristano “Il carnevale degli oristanesi è simile a quello che si pratica negli altri paesi. Sono pochi, a’ quali piaccia di travestirsi e mascherar la faccia; i più amano danzare nelle piazze pubbliche con le fanciulle e le loro innamorate al suono del tamburo e del piffero, e alcuni di correre sopra bei destrieri, or singoli, or a due a due, or a più in presenza di tutto il popolo che fa ala nella contrada e applaude ai più destri.
Sa Saltilla o giostra. Così chiamavasi il giuoco dell’anello, che si costuma in Oristano nella domenica e martedi del carnevale, al quale concorrono quelli che sono invitati formando una compagnia con un capo e un sotto-capo, che dicono compositore e sotto-compositore.
Il capo di siffatto torneo veste il cojetto, calzoni corti di pelle, stivali, ed ha un fazzoletto sotto il cappello e una maschera di legno verniciato, verde nella domenica, e di color oscuro nel martedì. Il luogo dello spettacolo è presso la cattedrale, ed ivi in mezzo al popolo movono a gran galoppo da una parte il capo, dall’altra il sotto-capo della compagnia, e scontrandosi sotto la corda che ha pendente la stella o l’anello, nel quale si deve imbroccare, incrociano le spade.
Dopo questo primo atto i torneanti uno dopo l’altro spronano alla corsa i destrieri e tentano infilzar l’anello, quindi lasciata la spada prendono la lancia e ripetono la prova.
Siffatto spettacolo istituito per dar un onesto trattenimento al popolo e toglierlo da altri luoghi e piaceri sostienesi per due legati, i cui redditi sono destinati alle spese necessarie per il convito che offresi ai torneanti.
Finito il giuoco il capo toglie in mano un fantoccio di pervinca; corre per due volte l’arringo giocolandosi con quell’informe effigie, che non si sa di che sia simbolo; e quindi si volge con tutta la sua comitiva alla contrada delle corse, dove si sbizzarriscono correndo così come abbiamo accennato.
CAGLIARI:
Divertimenti. Festeggiandosi nelle chiese che sono alla estremità dello Stampace, e della Villanova è solito darsi lo spettacolo della corsa dei barberi. Ma nient’è che eguagli la corsa carnevalesca nella contrada di S. Michele per uno stadio di circa 75 trabucchi (metri 227,25) in due oblique, questa per una china di circa trabucchi 40, quella per l’erta. Si inaugura nella solennità per S. Antonio abbate, poiché i cavalli furono benedetti nel passare davanti sua chiesa e quindi si continua nei giovedì, domeniche, e ultimi giorni. La strada, o il suolo, diremo, di quest’ippodromo è convesso e costrutto a ciottoli, donde in sull’imbrunire al violentissimo quadrupedamento schizzan scintille. Vi concorrono i più nobili destrieri co’ più abili cavalieri, e si ammira di quelli la vivacità, la foga, la docilità, di questi l’agilità, la destrezza, la forza. Corresi, come dicono, a pareggia formatasi una catena di cavalieri da due in sette, i più, che permette congiungersi l’ampiezza della strada nella parte delle mosse. È allora piacevolissima scena in questa strada. Una moltitudine sovrasta da’ poggiuoli con tutta la pompa del lusso, e riempie tutta la contrada. Vedresti al tocco del tamburo in su le mosse aprirsi la calca avanti i corridori, e tosto chiudersi alle spalle, e con poco grato senso farti i cavalieri sentire i pericoli tra cui scherzano accennando cadute, rimettendo il freno, abbandonandosi sulle groppe del vicin cavallo, e altre siffatte pazzie, alle quali come è giusto applaude ogni matto.
Spesso i cavallerizzi presentasi mascherati alla imitazione del costume di altre nazioni, e delle stesse varie tribù sarde.
Qui l’Angius sembra rifarsi in parte alla descrizione che intorno al 1820 fece Charles De Saint Severin delle corse a pariglia che si svolgevano a Stampace.
TEMPIO:
Corsa di cavalli. Nelle domeniche e negli ultimi tre giorni di carnevale i giovani che hanno destrezza in governare il cavallo vanno in buon numero, mascherati e scoperti, nelle strade principali, dove si affolla il popolo, e corrono nella Carrera-longa, nel Runzatu e nel Carmine, o soli, o a due, o tre. Dopo corsa una strada, si corre nelle altre, e poi si ricomincia.
Nel sabato e nel lunedì di carnevale si suol fare una gran cavalcata da’ giovani che portano le loro spose o le sorelle alla groppa.
Le donne fan pompa dell’antico vestiario, delle gonnelle e giubboni di scarlatto, e circondan la faccia e la testa da grandi fazzoletti bianchi ricamati.
In questo modo e in lungo ordine passeggiano lentamente le maggiori vie tra la folla, e i giovani passando presso il balcone o la porta di qualche bella spargono sopra lei pugni di confetti.
Nei suddetti giorni e in altri vanno molti mascherati, uomini e donne, in brigate di venti o trenta persone, tenendosi uniti al braccio, e seguendo alcuni suonatori.
Si fermano sempre dove sia qualche fanciulla di insigne beltà, e si comincia la sinfonia.
La fanciulla deve presentarsi al balcone o alla porta, ed aspettare finché, terminato il suono, la brigata la saluti e parta. Se si presenta, è onorata di molti pugni di confetti, sparsi a’ suoi piedi, se non si pre- senta, allora si rompe la musica, si gittano contro l’abitazione alcuni pugni di crusca e si va altrove. Così di carnevale, come in tutti gli altri tempi, i giovani innamorati escono nell’alta notte, e ponendosi presso la porta della bella fan suonar la cetra, e cantano le loro canzoni. Non dispiace agli altri l’interruzione del sonno se l’innamorato suoni e canti bene
SANTU LUSSURGIU
Divertimenti. Nel carnovale i lussurgiesi amano il ballo in maschera e andare e correre a cavallo mascherati. Si fanno varie società, e in grandi sale si danza a molte ore della notte all’armonia delle launelle o delle cetre.
SINISCOLA:
Nel carnevale usano due sorta di mascheramenti, uno detto a tintinnatu dai molti sonagli che tengono pendenti dalla cintura, l’altro della partoriente. Nel primo mettono al rovescio tutte le robe, e gli uomini le vestimenta delle donne, le donne quelle degli uomini; nel secondo si figura una donna gravida. Questa maschera con la comitiva entra nelle case, fa i più strani contorcimenti come fosse nello spasimo de’ dolori, e i compagni domandan lardo per sollevarla, e come l’hanno ricevuto se ne partono. I compagni del tintinnatu arrestano il pastore che venga all’incontro e lo conducono a casa, né si ritirano prima di esser rigalati di lardi, salsumi, o ravioli.
Negli ultimi tre giorni di carnevale si fa la corsa che dicono della Sattiglia [recte Sartiglia]. Si appende sulla strada maggiore un gallo, Su puddu de carrasecare e una comitiva, non meno di venti, capitanata da uno vestito da cavaliere, corre a pariglia di due. Il capo deve con la spada troncare il collo del gallo tra la corsa. Nella prima corsa dee fare colpo falso, nella seconda troncarlo, nella terza portare la testa recisa nella sua mano. Quindi i giostranti vanno nella casa del capo del gioco a far gozzoviglia. Nel gioco del primo giorno è capo il capitano di barracelli, in quello del secondo il maggiore del prato, in quello del terzo il maggiore di giustizia.
SEDINI
Negli ultimi giorni di carnevale si pone a bersaglio un gallo, che guadagna chi lo colpisce. Si usano le maschere nel carnevale e si fanno balli pubblici; ma nessuna donna v’interviene, se non mascherata. Costumasi ancora una mascherata, nella quale si vede uno in costume turco, cui sussegue una frotta di gente mascherata. In altro tempo erano rappresentati più africani che spingevano avanti di sé una turba di captivi. A questi doveano venir incontro alcuni vestiti alla sardesca, a piedi e a cavallo che dovean liberare i presi. Dopo questo ballavasi allegramente. Quest’uso ebbe origine dal fatto della vera liberazione di molte persone prese da’ barbereschi e tolte alla mano di questi da’ sedinesi. Dicesi questa la mascherata del re Moro.
QUARTU:
Nel carnevale i giovani quartesi, che sono buoni cavallerizzi, corrono mascherati nella strada maggiore e molti di paro tenendosi uniti con le mani o con le braccia, tra un gran numero di spettatori del paese e de’ luoghi vicini. Il giovedì grasso e il lunedì, lo spettacolo, solendo essere più brillante il concorso, è più numeroso, e sono molti che vengono, massime nel lunedì, dalla stessa capitale.
(A Quartucciu invece la corsa dei cavalli si teneva il martediì grasso. Tutti erano ammessi alle gare e non era raro vedere forestieri parteciparvi con lo stesso cavallo che li aveva condotti a vedere la manifestazione. /C. Pillai. Il tempo dei Santi./)
Anche in area campidanese dunque numerose manifestazioni carnevalesche e corse di cavalli. Spesso, come a Quartu si cantavano i goccius, e le sfilate attorno agli anni ’20-’30 si ispiravano ogni anno a personaggi diversi. I canti erano in genere erano satireggianti e denotavano forme di licenziosità sessuale. (Pillai).
Anche a Sinnai per il carnevale sono evidenti le analogie con le rappresentazioni teatrali (qui il carnevale muore per malattia, forse per aver mangiato troppo, dopo essere stato operato d’urgenza, e si finisce per cantare s’attitidu tradizionale e per leggere su testamentu de Carnovali). Pillai
SORSO:
Nel carnevale le persone della bassa classe mascherate e non mascherate ballano nelle piazze, le persone di miglior condizione ballano in sale particolari di notte. Nel primo ed ultimo giorno di carnevale vi è corsa di cavalli nella piazza, cioè nella strada principale, e si vedono correre li 30 e più cavalli in discesa. Fra questi vi sono quei cavalli nobili, che sono nel numero de’ corsieri, e che si mandano in tutte le feste dove corrasi il palio per gareggiare nell’arringo.
ISILI
Nel carnevale si fa il giuoco della gallina (sa saltiglia), al capo della quale, pendente da una corda distesa da una all’altra parte della contrada deve, correndo a cavallo, dirigere e portare il colpo chi la voglia sua.
La mascherata dess’Entrecoru o dessu Puntori è un gioco che fanno i giovani negli ultimi giorni del baccanale, e un mezzo per procurarsi una gran cena. Formano un fantoccio di varii otri con una testa di legno, lo vestono secondo il costume del paese, lo assicurano sul dorso di un cavallo e in gran corteggio intorno a lui, girano per il paese, domandando galline, salsiccie, salame e vino. Versano il vino nelle otri che formano le membra dell’Entrecoru. Quando abbian fatta un’abbondante raccolta si ritirano per preparare la cena da baccanti.
FLORINAS:
Ballasi in tutti i dì festivi a un coro di quattro voci. Nel carnevale i giovani si divertono a correre a cavallo per tagliar il capo alla gallina appesa.
Anche a SENEGHE secondo altra fonte (Raimondo Pili Deriu) “La domenica sera si tendeva in alto nella strada principale una fune alla quale venivano appese delle galline vive, colpendole con un bastone (currer sa pudda).
PATTADA:
Le vie sono irregolarissime come in tutti gli altri luoghi montani, e solo può indicarsi come meno storta la Carrera longa, dove nel carnevale i giovani si sollazzano a correre con o senza maschera, e dan spettacolo agli oziosi.
ALGHERO:
Nel carnevale si fanno le corse delle maschere per uno stadio di 5 minuti nella strada dell’ospedale.
ORANI:
Nel carnevale i giovani corrono a cavallo mascherati e le persone di distinzione si radunano in una sala preparata da una società, e si balla al suon de’ flauti, de’ violini e delle cetre, mentre i plebei fanno riunioni liete in varie case.
BORORE:
Nel carnevale si pigliano i giovani molto piacere in correndo a cavallo per troncar il collo a una gallina appesa.
CHEREMULE:
Nelle feste si balla nella piazza all’armonia del canto. Si balla ancora nel carnevale, ma i più amano di tirare al bersaglio o di colpire la gallina (qui non sappiamo se fossero a cavallo o meno)
NURRI:
Ballasi nel sabato a sera e nella domenica; nel carnevale molti si mascherano, e i giovani corrono sul cavallo or singoli, or a due o a tre abbracciati.
NURAMINIS:
Nel carnevale i giovani si mascherano, e corrono su’ cavalli o in pareggia, come dicesi di due o più che corrono abbracciati, o gareggiano in sa saltiglia a uccidere passando di fuga un pollo sospeso.
Numerose quindi le tradizioni equestri durante il carnevale: le corse a su puddu ed alla gallina, Sa Saltiglia, sa cursa a sa loriga, pariglie, corse etc.
De sa cursa a su puddu, altrove scomparsa, ne rimane buona testimonianza a Sedilo. Ma l’uso del cavallo durante il carnevale è attestato, oltre a quelli citati dall’Angius, anche in altri paesi tra i quali ricordo: Gadoni, Pauli Arbarei, Mamoiada, Orgosolo e a Gavoi, paese questo, dove si cantavano muttos di carnevale a cavallo o si facevano rituali di questua in giro per il paese chiedendo: vino, dolci, formaggio, lardo o salsicce; come nel caso di Isili.
Antonia Sanna ci parla di esibizione di maschere a cavallo anche a Meana. (Meana. Radici e tradizioni 1989) ed il poeta Salvatore Murgia ricorda della trdizione di Macomer ancora prima della seconda guerra mondiale de sa cursa a puddas.
Nicolò Osu ci ricorda che anche in Goceano, ad Illorai, “a carrasegare currian a caddu in sas carrelas e unu chi che leaiat totu sos puddos faineris chi resessiat a tenner imboligandelis in trugu su foete e tirandesichelos a sa sedda a su olu” …e per cena, sos cadderis si incontravano in piazza pro s’ispuntinu ‘e puddos.
A Gavoi anche su mortu de carrasecare veniva messo a dorso d’asino o di cavallo e portato in giro per il paese, questuando e cantando muttos. Questo si iniziava il Giovedì Grasso.
Qualcosa di simile avveniva a Sinnai sempre il Jobia de Laldajolu dove un fantoccio veniva destinato al rogo ed il martedi grasso girovagavano a cavallo in cerca di vettovaglie. Il corteo delle maschere a cavallo aveva un non so che di lugubre e in esso par di riconoscere una raffigurazione della schiera dei morti, i quali inducendo sentimenti ambivalenti, ma in prevalenza di paura, devono essere tacitati con offerte di cibo. (C. Pillai)
E qui rimandiamo ai rituali de sa candelarìa di Orgosolo o anche a Grazia Deledda, che nel Paese del vento, parla di una sfilata che i giovanotti effettuavano il giovedì grasso, mettendosi corna bovine. “Montati a cavallo, percorrevano urlando le strade e battevano alle porte “domandando salsiccia”. La scrittrice usa la definizione di maschere infernali e afferma che facevano spavento.(Pillai)
Questi rituali sono comuni in moltissimi paesi della Sardegna.
Come il fatto di avvolgersi di pelli, fatto che si potrebbe interpretare come una metafora della morte. Ancora una volta il rapporto dialettico vivo/morto – povero-ricco, maschio-femmina e aggiungo anche uomo-animale, visibile in tutte le manifestazioni carnevalesche. (Pillai)
Oltre ai mascheramenti zoomorfi dei nostri carnevali che ben conosciamo, era dunque molto forte il rapporto uomo-animale e in specie quello uomo-cavallo.
(Rimando agli scritti di Luisa Orrù, per quanto riguarda le questue carnevalesche, contenuti nel libro Il Carnevale in Sardegna. Cagliari, 2D EDITRICE MEDITERANEA, 1990.)
Oltre ai succitati casi dell’uso del cavallo in molti paesi e città per il carnevale, Angius cita il carnevale in molti altri luoghi:
alla voce Barbagia ci parla della presenza di suonatori necessari “per trattenere dilettosamente i divoti nelle chiese, per sostenere l’allegria delle feste pubbliche o private, e per lo carnevale.”
A Nuoro: “Nel carnevale il loro teatro è in sos seranos, sale aperte alla ricreazione pubblica, dove intervengono le donne con maschera o senza e si balla. L’orchestra è ristretta al tamburo.”
A Muravera:
Balli. Le donne moreresi hanno gran gusto per la danza; ballano nel carnovale, nelle ricreazioni pubbliche de’ dì festivi, nelle feste campestri, e non le sole fanciulle e spose vi prendon piacere, ma anche le vecchie nonne vi si sollazzano sgambettando con vigor giovanile molte ore.
OZIERI: Nel carnovale ballasi nelle case de’ benestanti, più spesso nella maniera forestiera che nella nazionale, all’armonia degli stromenti di fiato e di corda.
GONNESA:
I pubblici sollazzi non sono usati che in dette feste e al carnovale, quando solamente s’intrecciano le caròle sulla piazza all’armonia delle canne (il launeddas).
THIESI:
I popolani amano molto la danza, e non solo ballano nel carnevale e nelle feste popolari, ma usano di radunarsi tutti i dì festivi in una piazza e ballarvi, cominciando dalla festa di Pasqua, sino alla domenica che precede la stagione della mietitura.
PAULI PIRRI:
Nelle domeniche si fa la danza pubblica, e negli ultimi giorni di carnevale si balla in case particolari, dove sieno fanciulle da marito.
CUGLIERI:
Divertimenti. Tra questi provinciali sono usati gli stessi sollazzi, che tra gli altri. Nel carnevale fannosi grandi feste e tripudi, se sorrida speranza di larga mercede alle fatiche.
BARADILI:
Il consueto divertimento sono i balli all’armonia de is launeddas nei giorni festivi, e nel carnevale.
BERCHIDDA:
Il generale divertimento nei dì festivi e nel carnevale è la caròla intorno ai cantori.
BOLOTANA:
La strada cognominata de santo Salvatore, dove esisteva una chiesa dei filippini, è la più bella e la più frequentata, e spesso lieta de’ pubblici divertimenti e sollazzi, balli, cantici, corse, mascherate ecc.
Altra curiosità alla voce Gallura:
Alle feste natalizie e nel carnevale il pastore offre al principale un castrato o un porco annicolo o un mezzo corpo vaccino con le cervella, il cuojo e la lingua: a mezza quaresima deve dare sei pezzette di formaggio fresco (pischeddi): alla pasqua o due capre e un capretto o due montoni e un agnello o un annicolo, secondo la specie che si ha, dandosi di tutte se si abbiano tutte.
Cosi anche alla voce Nuoro: I diritti per il bestiame erano i seguenti, il diritto di segno, il testatico sopra le pecore e porci, il deghino delle pecore, quello dei porci ecc. Sopra questo i pastori doveano il diritto di presente nel Natale, Carnevale e Pasqua, il diritto del peso del formaggio.
Il Casalis ricorda che spesso si pagava al marchese o al Barone, per chi pagava il feudo, il “diritto di Gallina”. Posso supporre che le corse a su puddu e alla gallina non fossero altro che un modo per contestare il pagamento di tale diritto, ma l’argomento sull’origine di queste tradizioni equestri è vastissimo.
In molti paesi apparivano quindi anche distinzioni di classe sociale per il carnevale. Balli e luoghi riservati ai nobili e benestanti. (vedi: Iglesias, Sorso, Ozieri, Orani, Gavoi)
per concludere con il Casalis abbiamo:
IGLESIAS:
Carnevale. Oramai ha perduto non poco dell’antica ilarità e festività: e non più si pratica il giuoco delle melarancie, che si gittavano e dalle maschere e da persone non mascherate a quelli che occorreano nella contrada e mostravansi da’ balconi, previo avviso, a issu, a issa (a esso, a essa). Veramente potea a qualcuno parere, e con ragion, un giuoco più molesto, che quello che usano fare i milanesi coi loro coriandoli di gesso e farina nel corso del terz’ultimo e ultimo giorno dei baccanali, lanciandoli dalle mestole elastiche, o versandoli da’ canestri, nelle faccie sulle teste e nella persona degli spettatori. Si gittava tanta copia di queste frutta alle porte e sotto i balconi delle belle maurelle, che non bastando tutto il prodotto dei giardini d’Iglesias, se ne domandava altrettanto e più a’ proprietari domonovesi e fluminesi. Era per le fanciulle una ragion d’orgoglio, se vedessero coperto il suolo a’ piè della loro casa di molte arancie schiacciate. Dall’altra parte i giovani bifolchi capitanati da’ loro principali se incontravansi in altra schiera rompeano guerra e si combattevano con grande emulazione. Mentre volavan da tutte parti le arancie, cadeva su’ combattenti e su gli altri la ricotta tra le risate de’ pastori, e nuotava nell’aria la lanugine de’ fiori dell’erba stuoja, sollazzo di chi non potea far più.
A Iglesias ricordiamo anche che in un documento si ha notizia di una corsa all’anello tenutasi nel 1615.
Le arance, secondo Aldo Domenico Atzei, potevano comparire fra i doni questuati in occasione del carnevale: cosi a Bosa (ove le arance, questuate il giovedì grasso, venivano infilate e infilzate in spiedi). Più frequente era il lancio di arance in occasione del carnevale: sia dalle persone mascherate o presenti sui carri sulla folla, insieme con frizzi, cui la folla rispondeva con analogo lancio. Questo succedeva a (Barrali, Calangianus, Dolianova, Donori, Iglesias, Luras, Olbia, Pimentel, Samatzai, Sant’Andrea Frius, Serdiana, Soleminis, Telti), e sia dagli spettatori sulle persone mascherate (Giba, Narcao, Nuxis, Perdaxius, Serbariu, Tratalias, Villamassargia). A Nuxis, nel Sulcis, durante il carnevale si snoda un corteo nuziale per finta, in cui, al posto dei chicchi di grano, vengono lanciate bucce d’arancia. Anche a Cagliari nella maschera de su tiàulu, vestito in abito rosso fuoco, portante corna talora sovrastate da arance. (Atzei)
A Ollolai per carnevale, durante i balli in piazza i ragazzini sogliono buttare intorno a chi balla “sos kattsùttsos” un’erba che si attacca al vello delle pecore . E’ risulatato trattarsi dei capolini sia di bardana che di Xanthium Spinosum L. Quando un giovanotto voleva far conoscere il suo amore a una ragazza, le lanciava addosso capolini della pianta che si attaccavano fortemente alle vesti. Invece in qualche altro luogo, dice sempre Atzei, il fantoccio di carnevale, di fieno e paglia, che poi viene bruciato, ha come naso una carota: nella Trexenta il fantoccio Su Karnevali mòtu, il carnevale morto, all’ultima domenica del carnevale). Così pure nei fantocci di Quartu S. Elena e Selargius. Talora come mascheramento del carnevale figurano collane di carote. (Atzei).
Altra curiosità: Per carnevale a Giba, Narcao, Nuxis, Perdaxius, Serbariu e Villamassargia, gli spettatori lanciano patate sulle persone mascherate.
A Gavoi il giovedi prima di Giovedi grasso, l’incaricato della questua del vino, si veste da frate questuante, portando un rosario fatto di piccole patate infilate in uno spago legato alla vita. (Atzei)
Opera questa del Casalis dunque che “meriterebbe un posto di rilievo”, come scrive Enrica Delitala in LARES A. LXXI N. 2 – 2005, “nella storia delle indagini etnoantropologiche italiane”.
L’importanza dell’opera venne anche sottolineata da Alberto Cirese che parla di “imprese molto significative sia per l’epoca sia per il valore della documentazione” (in: Cultura egemonica e culture subalterne (Palermo, Palumbo, 1972).
Pier Gavino Sedda – Gavoi
Intervento fatto al Covegno Dibattito “A Maimone” Carnevale: Tradizione e Cambiamenti”
Samugheo, 17 febbraio 2019.